“Abbracciami Papà” – L’incredibile resoconto degli ultimi giorni di Stefano Cucchi

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“Avrei dovuto dormire a casa questa notte…..abbracciami papà”. Stefano ammanettato; Stefano picchiato; Stefano dal volto tumefatto; Stefano ostaggio di servitori dell’antistato di diritto; Stefano che vorrebbe tornare a casa, ma che non ci tornerà più.

E’ una storia sbagliata dove la solitudine di un uomo reso inerme dalla violenza cieca  di altri esseri dai tratti solo apparentemente umani, rimbomba nell’animo di quei tanti – e sono tanti – capaci, nel mondo della globalizzazione governato dalla solitudine, di indignarsi, senza lasciar marcire quella sensibilità che dovrebbe essere la normalità e non l’eccezione.

Il respiro che diventa sempre più affannoso, il corpo che inizia a cedere e gli occhi che lentamente si spengono: Stefano non riesce ad urinare; Stefano parla con difficoltà dinanzi ad un magistrato, che non lo guarda in volto per un solo secondo; Stefano è diventato invisibile: Stefano è finito in una cella insonorizzata.

Una notte come tante, una sigaretta in compagnia di un amico e tante confidenze, risate e piccoli segreti indicibili ai più. Il dolce silenzio della notte viene bruscamente interrotto dal rumore prepotente di alcuni passi: “Che facciamo qui? Favorite i documenti e scendete dall’auto” ; “Poggia tutto ciò che hai sul tetto dell’auto”…… Inizia il viaggio del non ritorno.

Stefano è accerchiato: altre due potenziali sanguisughe della sua libertà giungono sul posto pronte ad “applicare “ la legge: “ Che abbiamo qui?”…. Gli uomini in divisa trovano, durante la perquisizione, una bustina contenente sostanze stupefacenti. Il viaggio prosegue dovrebbero iniziare i riti ordinari previsti dalla legge in quelle circostanze, ma invece comincia il calvario.

Stefano cammina sulle sue gambe nei freddi corridoi della caserma. Il suo volto, certo colmo di paura, è sempre lo stesso. Inizia il foto-segnalamento:  quel volto cambierà per sempre.

La cella e un corpo in fase di declino. Una stanza di ospedale ed una giovane vita in posizione costantemente orizzontale: ogni movimento normale diventa una battaglia contro i dolori lancinanti provocati da calci e pugni sferrati in zone vitali, mentre Stefano era ammanettato.

Quei dolori diventano veri e propri estintori di quel fuoco di vita che divampava nel corpo del giovane: quel fuoco è oramai spento: Stefano non c’è più: l’uomo è stato reso un fantasma.

Una madre ed un padre distrutti davanti al corpo martoriato: “Figlio mio che ti hanno fatto?”

Una sorella, Ilaria, e l’inizio della sua battaglia più importante: combattere perché Stefano abbia giustizia.

La famiglia unita dal dolore ed è quell’unione che consente loro di picconare lentamente un sistema che, attraverso depistaggi  e falsificazioni di verbali di servizio, ha provato ossessivamente ad occultare la verità sulla morte del giovane geometra romano.

La solitudine dei Cucchi è ormai un lontano ricordo esplode la condivisione della loro battaglia: l’appuntato dei carabinieri, Riccardo Casamassima, e sua moglie iniziano a squarciare, dall’interno dell’Arma dei Carabinieri, il velo di menzogne: “ Tutti all’interno dell’Arma sanno ciò che è realmente successo quella notte a Stefano Cucchi: tutti sanno del pestaggio subito”.

La verità, come un bambino di pochi anni di vita, inizia lentamente a camminare. E’ certamente lontano il lieto fine, ma succede qualcosa di rivoluzionario: uno dei tre carabinieri accusati di aver ucciso Stefano decide di collaborare con gli inquirenti: “Stefano è stato picchiato”. Il carabiniere, lo stesso che in passato invitava i suoi colleghi ad usare “telegram” per non essere intercettati, vuota il sacco, con un ritardo di ben nove anni, dicendo dettagliatamente ciò che ha visto in quella maledetta notte. Accusa rompendo il patto di colleganza e ci piace pensare che con questa sua inversione di marcia abbia riacquistato un briciolo di dignità.

La fine di questa storia sembra ancora troppo lontana ma abbiamo il dovere, per non sentirci soli, di continuare a credere nella giustizia equiparabile ad un guizzo improvviso, dalla forza dirompente, che affilato come un fendente colpisce l’infame picchiatore, da sempre convinto di essere un vincente, rendendolo uno scarto: un perdente.


A cura di Giuseppe Leonetti

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