Una breve chiacchierata con lo scrittore Gianrico Carofiglio avvenuta nella suggestiva location, immersa nel cuore della Murgia, di Lama di Luna.
Aggiungere e sottrarre: due verbi dal significato contrapposto. Nella cultura moderna vi è una naturale propensione nell’applicare il primo dei due verbi, ignorando il secondo. Perché, negli esseri umani, è insita, da un lato, la paura di sottrarre e, dall’altro, la tendenza ad accumulare il più possibile, anche il superfluo, allontanandoci dall’essenziale?
L’accumulo, sia materiale sia spirituale, credo dipenda dalla paura. Di varie cose, fra cui la solitudine e la morte. L’antidoto però è nella leggerezza, non nel caricare la propria imbarcazione di ogni sorta di cianfrusaglie, materiali e spirituali.
Il racconto, attraverso i libri, di storie umane. I libri possono, in qualche modo, alleviare il senso di solitudine che aleggia nell’animo di tanti? Qual è il suo rapporto con la solitudine?
Credo di sì. Almeno per me è stato ed è così. Leggere allevia, a volte fa sparire la solitudine. Io ho un rapporto altalenante con la solitudine. A volte mi piace, mi ci accomodo come in una casa familiare e confortantevole. Altre volte sento il bisogno di sfuggirla. Credo di non essere molto diverso da tutti gli altri, in questo.
Qual è, se esiste, un accadimento della sua vita che tante volte ha provato a raccontare, attraverso la sua penna, senza riuscirci per le troppe emozioni in gioco?
Esiste sicuramente. Anzi: esistono. Per conoscerli però occorrerà aspettare che io sia capace di raccontarli nei miei libri.
Uno scrittore e la curiosità di scoprire le tante sfaccettature umane. Come era Gianrico da bambino?
Goffo, sempre distratto, in preda a ogni sorta di fantasticherie. A dire il vero la situazione non è troppo cambiata oggi, nella sostanza.
Le regalo una scatola di colori, quale tra questi oggi la rappresenta maggiormente?
L’indaco.
Di Giuseppe Leonetti