Il cancello assume, grazie alla lentezza del suo divincolarsi dalla zavorra di una serratura, le sembianze di un ventaglio che aprendosi permette agli occhi di scorgere i colori custoditi al suo interno.
Ogni singolo passo è perfettamente armonico con gli occhi che come magneti assorbono, dapprima, il verde degli ulivi secolari trasportati dal Gargano ed impiantati lì in quella terra accogliente con le piante, con la vita e con noi persone e, successivamente, il bianco delle mura così candido e pronto a sobbarcarsi il carico emotivo di tanti altri variegati colori.
Colori, tanti colori, una vera e propria scala che, gradino dopo gradino, passando per la vivacità del melograno, conduce con dolcezza al color marrone o al vaniglia di un asinello e di un mulo felici in quel recinto, apparentemente restrittivo, e diventato la loro casa condivisa con galline.
Casa quanto è bello questo nome comune di cosa: pertinenza della casa, protetta dal cancello incontrato inizialmente, è un piccolo portico addobbato con tanti pomodori che sembran stelle rosse entrate in piena armonia con la volta: basta accomodarsi al tavolo, rivestito di mattonelle che custodiscono incisioni; simboli e segni, per iniziare pian piano ad entrare nel cuore delle Terre di San Vito. Le bottiglie di vino, dormienti sul tavolo in pietra, ben presto vengono rinvigorite dall’arrivo di imponenti calici pronti ad acquisirne il loro contenuto per deliziare l’olfatto e il gusto del sempre più stupito visitatore.
I calici, proprio loro che, fuori da quel cancello, son considerati semplici oggetti lì acquistano vita, vengono infatti accarezzati – per eliminare tracce di calcare – dalla mano sapiente e vigorosa del loro custode. Il custode, ben diverso dal proprietario, non possiede ma custodisce il frutto del proprio lavoro e dalla sua carezza gentile su quel comune calice, è possibile scorgere una forma di amore che diventa sempre più nitida quando, con i suoi occhi azzurri colmi di adrenalina, invita a visitare le sue vigne o la chiesetta costruita appositamente per il matrimonio di sua figlia.
La chiesetta e quindi una fede da preservare, senza ipocrisie ma con realismo e qualche sano peccato che non fa poi così male, accoglie intorno al suo perimetro piccoli vialetti che conducono nel profondo della roccia dove campeggia un immenso portone in legno decorato con i simboli della vigna: della vita. Il portone, esattamente come il cancello – ventaglio, sbaraglia un mondo nuovo e inaspettato, illuminato con grazia e gentilezza: una cantina concepita nella viscere rocciose della terra dove accogliere con amore, e lontano dalla superficialità commerciale, il vino: il “VESCOVO”, diventato simbolo di una storia di passione e ostinazione custodita gelosamente da chi oggi, nonostante il benessere conquistato sul campo, continua a contagiare con quella sensibilità assorbita, e mai rinnegata, tra i vicoli dimenticati di Bari Vecchia.
A cura di Giuseppe Leonetti