Pare che il desiderio di maternità sia insito nella Donna, faccia parte della sua indole, rappresenti lo scopo ultimo del suo essere al Mondo, affinché a quel Mondo possa essere in grado di regalare una o più vite, la forza procreatrice di generare felicità, la propria e quella dei suoi figli. Già, pare. Perché ai più attenti di voi il suddetto concetto può sembrare maschilista, e forse lo è, lo diventa, sicuramente, se incastonato negli anfratti sociali di un clichè atavico, un luogo comune mai aggirato, come gioielli di una corona da porre sul capo di una Regina, la custode del focolaio domestico a cui nessuno riconosce stima ed apprezzamento, a cui nessuno assegna ruoli o importanza.
Saranno sempre gli attenti di cui sopra a contestare la generalizzazione dell’argomento, adducendo scuse di un’emancipazione ormai conquistata, l’alibi di una catarsi culturale che appiani divergenze ed ingiustizie, l’inutile confronto fra epoche, caldeggiando, magari, una modernità che, invece, cela sgomitate ed ansie.
Carriera, vexata quaestio che mette sulla bilancia diritti e doveri, come se quel grembo lievitante fosse l’obbligo morale che una donna adotta per definire se stessa, quasi a giustificarne la partecipazione alla polis, fondamentale radice di un albero genealogico che finisce per schiacciarla sotto i roboanti caratteri di un cognome che non le appartiene, nonostante la recente giurisprudenza ne stabilisca l’aggiunta.
Si parva licet, si potrebbe, a ragione, obiettare che Madre Teresa non si sia sentita meno realizzata nella scelta di non partorire, quella decisione è conseguenza di un pensiero che non ha mai smesso di abbracciare la libertà. Ed è proprio secondo questa libertà che tenta di muoversi l’ego femminile, sia chiaro, non per venir meno alla ratio di un’altruistica responsabilità, ma per sancire il suo sacrosanto appetito di Felicità, la fame che, nel Primo Novecento, sfornava progenie decuplicata dalla formazione di braccianti, forza lavoro per campi seminati da miseria e sopravvivenza.
Chiunque, cum grano salis, si accorgerebbe della proliferazione di quote rosa nelle pubbliche e private mansioni, ma a che prezzo? Qual è lo scotto? Oggi come oggi la Donna non ha ottenuto ciò che ha ottenuto sostituendolo a ciò che faceva prima, ha semplicemente aggiunto compiti da svolgere. Succede così che, dopo un’estenuante giornata in ufficio, la Donna torni a casa per essere colf, madre e moglie, una commistione di competenze potenzialmente vulnus di una serenità da tramandare, nonostante la mortificazione di un gap salariale e la diminutio intellettuale a cui deve, vergognosamente, sottostare. Le stanze, allora, diventano carceri da cui evadere, quadri senza cornice, un piatto da gustare nella speranza che si approcci ai fornelli con la convinzione di indossare le vesti non di serva ma di artista della cucina.
A cura del Direttore, Miky Di Corato