La crescita demografica dell’Islam

Nonostante la formazione del sedicente Stato Islamico, l’Isis, abbia invaso le cronache terroristiche di tutto il mondo, i musulmani, negli ultimi anni, hanno combattuto per sradicare la tanto diffusa, quanto errata, ideologia della fede islamica come fucina di interessi politici collusi a gruppi estremisti responsabili di violenti attentati.

Secondo studi dell’istituto di rilevazione americano, Pew Research Center, però, entro il 2070, l’Islam diventerà la religione più radicata sulla Terra. Mentre oggi i musulmani rappresentano quasi il 23% della popolazione mondiale (con 1,6 miliardi di fedeli, secondi ai 2,17 miliardi di cristiani), tra qualche decennio la dottrina islamica crescerà del 73%, più del doppio rispetto al 35% dei cristiani.

 

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Le ragioni vanno ricercate, soprattutto, fra le differenze demografiche. Tralasciando, ma neanche tanto, l’età media più giovane islamica (23 anni), oggi ogni una donna musulmana ha una media di 3,1 figli, contro il 2,3 di tutti gli altri gruppi religiosi. A detta dei ricercatori del Pew Research Center, l’Indonesia è, attualmente, il Paese a più alta densità di musulmani, mentre, pur avendo avuto origine, nel VII secolo, nelle aree della regione Medio Oriente/Nord Africa, la dottrina islamica, da quelle parti, attecchisce solo nel 20% dei casi.

Si ipotizza, tuttavia, che, a partire dal 2050, l’India, prevalentemente indù, stimerà oltre 300 milioni di musulmani. La percentuale è destinata a salire anche in Nord America ed Europa, dove il numero di atei ed agnostici passerà dal 16, 4% al 13,2%.

In questo processo giocherà un ruolo fondamentale la migrazione di uomini in fuga dalle barbarie dei propri governi. Stiamo parlando di barconi provenienti dalla superficie pacifico-asiatica. Territori come Pakistan, Iran, Turchia e Bangladesh esprimono il 62% del credo islamico a livello globale.

Prepariamoci, dunque, ad accogliere il diverso senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua e di religione, come vuole l’articolo 3 della nostra Costituzione, o come vorrebbe, forse, il senso umano e caritatevole del nostro comune vivere civile.


A cura di Michele Di Corato

Pensione in confezione spray

 

f789c23d18f5489daa3c349802aa0cc6-k49-U433107417955kwG-1600x1067@Corriere-Web-Sezioni_BC.jpgRitirare la pensione, ogni primo del mese, non è compito facile soprattutto per chi deve farlo dallo sportello della Banca Nazionale Svizzera. A Berna, infatti, l’86enne Louise Schneider ha deciso di reclamare la propria razione mensile saltando la coda e imbrattando il muro dell’istituto di credito con vernice rossa a spray.

I soldi per le armi uccidono“. Questo lo slogan che la Schneider ha affisso pubblicamente, un monito non solo per i suoi coetanei ma anche per le nuove generazioni, un motto che, pedissequamente, riporta gli ideali pacifisti del GSoA, gruppo per una Svizzera senza esercito, associazione umanitaria che sostiene la campagna contro le aziende che producono e vendono armi.

Louise, attivista di ferro, proprio non ci stava a trascorrere le sue giornate sulla poltrona di casa, sentiva l’esigenza morale di urlare un profondo “NO” a guerra e povertà. L’ha fatto per una vita, ha protestato contro le politiche totalitaristiche, contro la sottomissione ai poteri forti. L’ha fatto per senso di appartenenza a questa tipologia di solidarietà chiamata genere umano. Il dovere per il dovere, insomma, vagheggiamenti che abbandonano la progettualità teorica per trasformarsi in azioni concrete, movimenti di ribellione, atti sovversivi.

Lo stile da writer l’aveva imparato negli Anni Sessanta, all’angolo della 204esima strada di New York, da un ragazzo di nome Julio, probabilmente l’antesignano degli street artists nel Mondo. Lo scopo che muove la pimpante Louise è raggiungere il cosiddetto “getting up”, ossia l’individuazione estranea alla massa, saltar fuori dagli schemi come personalità a se stante, indipendente nel pensiero e nella coscienza, dedurre dal generale al particolare principi che porta nella borsetta, tra le pagine di un libro di Kierkegaard, autore, guarda caso, della paradigmatica epigrafe “Quel singolo“.

L’ultima marachella è costata a Nonna Schneider qualche ora di fermo in commissariato. Dopo il suo rilascio, al giornalista del Globalist che le chiedeva spiegazioni del desueto vandalismo, Louise ha risposto: “Ho sempre lottato contro la guerra e la povertà, ma finché ci saranno le armi da fuoco, non cambierà nulla.”

Le foto dell’arresto sono le più cliccate sul web, dalle immagini si può intravedere l’argento fulgente dei suoi capelli setosi, l’aria sbarazzina di un’anima combattiva, con zainetto a quadri sulla spalla, bomboletta spray in mano, tanto amore nel cuore ed una pensione ancora da ritirare.


di Michele Di Corato

Andria: sciaborda l’entusiasmo all’affacciarsi di Maio all’Ottagono

 

 

E’ fresca la serata. Giacche, sciarpe ed indumenti pesanti riparano dai rigori invernali, ma fremiti di freddo scuotono ugualmente le membra. Il nutrito servizio d’ordine è impeccabile. Le forze dell’ordine presidiano l’”Ottagono” di Andria, mentre sguardi accorti scrutano dall’alto in basso la gente che arriva. Non si sa mai… l’evento è ghiotto e…  di scriteriati ne girano per l’Italia.

L’interno della sala convegni è confortevole. C’è trambusto. Un cafarnao. Gente che si sposta, volano abbracci e baci. Saluti. Strette di mano. Sorrisi. Atmosfera decisamente conviviale. Tutti i posti a sedere, occupati. I ritardatari si accalcano nei corridoi periferici ed in quello centrale.

Si affaccia un giovanotto. Atteso spasmodicamente. Di bell’aspetto. Distinto nei modi. Garbato. Umile. Figlio del titolare di una piccola impresa edile.  Tutti i presenti si mettono in piedi ed allungano il collo. Alcuni salgono sulle sedie. Da lontano si sente urlare “Luiiiiigi!”, come se fosse un amico di vecchia data. In molti fanno ressa per stringergli la mano. Gli occhi, luminosi, elettrizzati, sono puntati su di lui. E’ Luigi Di Maio, il candidato premier del M5S.

Volti sorridenti, giulivi, mentre una nutrita selva di telecamere, fotocamere e smartphone si scatena nel riprenderlo da tutte le angolature. Le mani si spellano. L’entusiasmo è alle stelle. Sembra che sia arrivata una star del cinema, un calciatore famoso, un cantante di grido. Eppure, è semplicemente un politico. Naviga in una scialuppa sociale molto vituperata, per la corruzione, i privilegi, l’ipocrisia, l’inaffidabilità, ed intende smascherarla e ribaltarla per pilotare l’Italia verso orizzonti agognati dai bambini, dai vecchi, dai disabili, da tutte le persone di buona volontà.

Stringe la mano ad un disabile in carrozzella, gli sorride, prima di accomodarsi al tavolo degli oratori. Partono gli interventi dei candidati al Senato ed alla Camera. Ruggiero Quarto, geofisico dell’Università da Bari, da un’eternità impegnato nella tutela del territorio, pescato dal mondo della società civile. Si infervora, ed il termometro si impenna. Giuseppe d’Ambrosio, già deputato, scalda la platea dei contadini, angariati dalle normative europee.  Sono convincenti, ma… giocano in casa. Luigi guarda, ascolta, si compiace con se stesso per la scelta operata. Questa volta non ci saranno transfughi. Solo, gente leale, capace e con il cuore in mano.

Prende il microfono, il giovane, che molti genitori vorrebbero come figlio. Denuncia la disinformazione dilagante e gli spettri della paura, ignobilmente, inculcati ed agitati. Enuncia i punti del suo programma di governo. Ritmato da applausi, sempre più scroscianti. Tra le priorità, la salute, la scuola, il lavoro, la legalità. La salvaguardia dell’ambiente, naturale ed artistico. L’energia rinnovabile, su tutti i tetti delle case e dei capannoni.  Non mega impianti speculativi. Riduzione di tasse per chi assume a tempo indeterminato, non per un misero giorno di lavoro. Spiega l’impatto che il reddito di cittadinanza può sortire sull’economia e sulla qualità della vita delle persone. Copertura di tutte le spese preventivate.

Aggiunge, poi, che le altre forze politiche, piene di indagati, non sono credibili, perché nei decenni, in cui hanno governato, il territorio è stato devastato, saccheggiato, inquinato. Le disparità sociali, cresciute, all’inverosimile. Gli Italiani, impoveriti, senza lavoro o precari. Le mense della Caritas affollate di pensionati. Le banche, di converso, sono state assistite, i risparmiatori penalizzati.  Colossali, gli sprechi.  La criminalità ha spadroneggiato per la collusione politica.

Il suo Movimento, invece, ha lealmente mantenuto le promesse. I baldi giovani si sono decurtati lo stipendio, e molte piccole imprese se ne sono avvantaggiate con il micro credito. Nell’ultima settimana della campagna elettorale, verrà presentata l’intera squadra che governerà il Paese.  Aleggia la speranza nell’aria. Anche i cuori, ora, sono caldi, ed il sangue irrora allegramente i capillari. L’esultanza sciaborda.

Si svuota a fatica la sala. Non fa più freddo, fuori. In alto brillano le stelle. Anche quelle del Movimento? Dipenderà dalla memoria degli elettori, dal loro spirito critico, dalla lungimiranza, dalla generosità verso i meno fortunati, dall’amore per la terra degli avi, dall’attenzione alla biodiversità.


A cura di Domenico Dalba

Gaza ritrova il suo grande schermo

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Una premiere sui generis, uno spettacolo unico in un clima surreale, una proiezione che, al momento, non ammette repliche. Trent’anni dopo Gaza ritrova il suo grande schermo, un lungometraggio che ha intrattenuto le trecento persone accorse al “Samer Cinema” per assistere al film “Dieci anni di blocco”.

Era dall’epoca della prima Intifada, infatti, che una pellicola non venisse presentata al pubblico della Striscia e, quando pochi giorni fa, Hamas ha concesso il permesso di aprire i botteghini, la produzione si è impegnata nella promessa di separare, all’interno del locale, gli uomini dalle donne. Il film, che racconta le vicende di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, è stato presentato dal regista Alaa Al-aloul con la volontà di restituire barlumi di Settima Arte ad un territorio martoriato da crimini di guerra, un posto da santificare attraverso l’amore per la cultura ed una panoramica più dettagliata sul mondo, una visione a 360 gradi che favorisca confronti politici e soluzioni pacifiche.

Il “Samer Cinema” come luogo di ritrovo, epicentro di appartenenza nei terremoti intestini e fratricidi di combattenti inermi, padri manifestanti che, il 1977, hanno distrutto una struttura fucina di solidale partecipazione, defenestrando valori comuni in favore di interessi unilateralmente colonialistici.

Oggi, Gaza ritrova il suo volto, una faccia corrucciata, segnata da rughe e solchi di indifferenza, uno sguardo di assetata curiosità e affamata speranza, una tragedia che vuole diventare commedia a lieto fine, con attori che recitino senza più alcuna maschera, quella preferiscono utilizzarla per strappare i biglietti…


di Michele Di Corato