Si intitola “La Rinascita del Vento” la quarta raccolta di poesie di Giuseppe Emanuele Volpe, staccata dalle prime tre perchè segna l’inizio di un nuovo percorso interiore:
“In questi versi -spiega l’autore- abbandono completamente la poesia classica per dedicarmi completamente a quella moderna. Lo stile è una mescolanza tra Montale, Ungaretti e Quasimodo con accenni alle poesie racconto di Pavese e a Mario Luzi. La brevità dei componimenti è data dalle espressioni poetiche con un periodare esteso, cioè frasi e periodi abbastanza lunghi, ma non troppo. L’ermetismo si mescola con la poesia discorsiva, facendo nascere quella che i greci e i latini chiamavano “variatio”. Schema, successivamente, abbandonato da Virgilio nell’Eneide. Si racconta che egli volesse persino distruggere alla fine della sua vita l’Eneide, perchè non ritenuta un’opera perfetta. In questa sezione sperimentale sono inserite anche poesie scritte nel dialetto andriese con traduzione italiana a lato, dove possiamo trovare riferimenti alla tradizione popolare andriese, messa ed esposta in una lingua purificata da espressioni grossolane e grezze in uno stile più raffinato sulla base della prima tradizione letteraria italiana volgare del trecento, vedi per esempio Guinizzelli o Dante. In questa raccolta metto più a nudo la mie esperienze di vita, i sentimenti, anche i dolori, i traumi della vita passata insieme al desiderio personale di ogni uomo di essere guarito dalle sue ferite, e trovare pace e serenità in sé stessi, attraverso la ragione che è una mia caratteristica; data la mia personalità fortemente razionale, cerco di indagare il divino e lo spirituale. Accanto si trovano tempi solo puramente autobiografici, che riguardano la vita, insieme al desiderio insaziabile di amore, che mi portò nello smarrimento della solitudine, ma anche a una rinascita, si può benissimo dire a una risurrezione che deve necessariamente passare attraverso una morte. In questo periodo scrivevo anche un testo teatrale su Pinocchio, che molti non sanno essere di ispirazione cristiana. Ecco, se si guarda all’uomo che è stato appeso su quella croce tutto diventa più accettabile per noi, ma questo non significa rassegnazione davanti al male della vita, bensì avere il coraggio di guardare in faccia il nostro dolore e affrontarlo insieme alle paure che esso genera. Ci si scoprirà pian piano di essere diventati più forti, vivi, e anche sereni e finalmente felici, perchè la felicità non consiste nel denaro, nella cultura, ma nella sapienza e nello scoprire la verità e conoscere ciò che è bene e ciò che è male. Questo lo diceva Aristotele, filosofo pagano prima di Cristo, ed è divenuto il padre del pensiero occidentale. Mi piace ricordare l’episodio del Vangelo legato alla prima apparizione di Gesù risorto, che appare ai discepoli a porte chiuse e subito gli mostra le ferite rimarginate, come per dire: “guardate sono veramente io, sono vivo.” Sì, perchè il dolore e la sofferenza restano sempre una grande prova che ha scosso tutto il nostro essere.”
A cura di Giuseppe Emanuele Volpe