C’è ancora domani

“Abbasso i Savoia, Viva la Repubblica!”
A capeggiare lungo il muro della vergogna, è questo messaggio subliminale, una scritta che corre come
Delia, la protagonista di “C’è ancora domani”, il nuovo film diretto (all’esordio) ed interpretato da una
magistrale Paola Cortellesi, a suo agio nel ruolo di una ciociara romana sui generis, una guerriera a cui
manca la spada, sostituita poi da una penna nell’agnizione finale.
“C’è ancora domani” è il riflesso anacronistico del suffragio universale, l’arcobaleno in bianco e nero che fa
da cornice al Primo Dopoguerra, elementi di contrasto voluti ed inseriti sapientemente in una pellicola che
guarda al passato ammiccando al futuro, un soundtrack del cantautorato italiano che sottace le
discriminazioni sociali e salariali della Donna, una figura imperniata di mutismo, l’opinione che lascia il
passo alla violenza raccontata dalla grazia di un balletto sinuoso ed emblematico, la coordinazione della
sottomissione, un sistema gerarchico e patriarcale nel quale la ribellione implode.
“C’è ancora domani” è l’austerità di Ivano (Valerio Mastrandrea) vinta dall’ironia della quotidianità
meridionale, accenti e dialetti biascicati per fame, per voglia di rivalsa, per matrimoni di convenienza,
inaspriti da un arrivismo secondo cui il fine machiavellico giustifichi i mezzi, è una bomba alla gelateria, il
piatto rotto, le patate bruciate, la libera complicità del cioccolato americano, le sere a prostitute,
l’assistenza al suocero decrepito.
“C’è ancora domani” è la speranza del 2 giugno 1946, l’attesa del giorno dopo o, forse, la metafora di un
genere femminile vessato persino in tempi moderni, soprusi imperdonabili, schiavitù intellettuale che, di
default, investe anche l’amica apparentemente più emancipata, anche la consuocera ricca, anche la figlia
più innamorata.
Una lettera d’amore che, al pari di una scheda elettorale, profuma di scelta, un’eredità lasciata alla prole,
quelle ottomila lire rubate a se stessa ed al proprio lavoro, forse per non essere ammazzata, probabilmente
l’espediente della sceneggiatura che convince lo spettatore, lo prepara alla fuga, una gioia che l’89% delle
aventi diritto al voto ha espresso nel tentativo di trasformare in minoranza la maggior parte degli stereotipi.

A cura del Direttore, Miky Di Corato

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